Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente della giunta regionale pro-tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 6220, del 15 dicembre 1992, rappresentata e difesa, come da mandato a margine, dall'avv. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto presso l'avv. Luigi Manzi di Roma, via Confalonieri, 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione - che non spetta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - dipartimento per la funzione pubblica, con riferimento alla nota del 9 ottobre 1992, prot. n. 4179/92/6/2.31, concernente sentenza della Corte costituzionale del 20 luglio 1992, avente per oggetto la legge n. 460/1988 sul rischio radiologico - il potere di dettare disposizioni di indirizzo circa il comportamento da tenere nell'esercizio della funzione amministrativa regionale a seguito delle sentenza della Corte costituzionale, volte a ritardarne l'attuazione; e per il conseguente annullamento della predetta nota, cosi' come trasmessa dal commissariato del governo con propria nota del 16 ottobre 1992, prot. n. 1441/4.14.09/amm (che qui si impugna anch'essa in quanto occorra) per violazione dell'art. 118 della Costituzione, e dei principi costituzionali sull'esercizio dell'autonomia amministrativa regionale, secondo quanto analiticamente di seguito svolto. FATTO E DIRITTO 1. - Alla regione Emilia-Romagna, come alle altre regioni, competono le funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria, e spettano altresi' le funzioni di controllo sulle unita' sanitarie locali. In questo quadro, compete in particolare alla regione di indicare, sia in sede di indirizzo che in sede di controllo, alle unita' sanitarie i parametri di legittimita' del loro comportamento, con riferimento alla normativa regionale e statale vigente, e di finanziare le spese conseguenti. La nota impugnata riguarda le indennita' e i diritti spettanti ad una parte del personale sanitario, e precisamente l'indennita' e i diritti collegati al rischio radiologico "pieno" (cioe' non precario e occasionale), in relazione alle disposizioni della legge n. 460/1988. Conviene ricordare che, pacifica la spettanza di tali benefici al personale tecnico e medico di radiologia, era controversa la potenziale spettanza al rimanente personale che di fatto, in relazione alle proprie mansioni, fosse esposto al rischio radiologico in misura piena (e non semplicemente in modo discontinuo, temporaneo o a rotazione). Era tuttavia evidente che, nell'eguale situazione di rischio, la discriminazione tra il personale di radiologia e il rimanente personale avrebbe generato una situazione di illegittimita' costituzionale. In questa situazione, su giudizio sollevato in via incidentale dal Tar per la Lombardia, codesta eccellentissima Corte costituzionale ha statuito, con sentenza n. 343/1992, che la denunciata disparita' non sussiste, in quanto l'art. 1 della legge n. 460/1990 va inteso nel senso che i benefici nella misura piu' elevata spettano non solo al personale di radiologia, ma a tutto il personale che si trovi in "posizioni lavorative individuali pienamente assimilabili, in relazione alla loro esposizione al rischio radiologico in misura continua e permanente, a quelle proprie dei medici e dei tecnici di radiologia". Detto personale e' individuabile con le procedure gia' previste dal d.P.R. n. 270/1987, ed ora previste dal d.P.R. n. 384/1990. A seguito di tale sentenza, e' evidente che le unita' sanitarie locali, e in relazione alle loro competenze le stesse Regioni, non solo possono ma debbono procedere al riconoscimento di quanto spettante al personale interessato, sia per la salvaguardia del diritto alla salute, evidentemente dovuta, sia nell'interesse del buon andamento del servizio, sia nell'interesse stesso finanziario del servizio sanitario nazionale e delle regioni, altrimenti esposte ad azioni di risarcimento ed al pagamento di interessi e spese legali, a seguito delle azioni giudiziarie gia' intentate e di quelle che ovviamente seguirebbero da parte del personale che si volesse continuare ad eslcudere. Inopinatamente, invece, con davvero improvvida iniziativa il dipartimento per la funzione pubblica ha ritenuto di dover intervenire non gia' per consigliare il comportamento dovuto (il che sarebbe stato del tutto superfluo, ma almeno sul piano pratico non dannoso), ma, incredibilmente, per cercare di impedirlo. Infatti, secondo l'impugnata nota, anziche' dare pronta attuazione alla sentenza di codesta Corte costituzionale, sarebbe "allo stato del contenzioso .. necessario attendere l'andamento giurisprudenziale successivo alla predetta sentenza per verificare in concreto il consolidarsi presso il giudice amministrativo della autorevole interpretazione data dalla Corte costituzionale". E' chiaro nel passo citato, al di la' del formale rispetto per la giurisprudenza della Corte, l'intento di evitarne o almeno il piu' possibile ritardarne l'applicazione. Va sottolineato che tale applicazione e' comunque inevitabile, dato che la sentenza n. 343/1990 ha chiaramente affermato che l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni della legge n. 460/1988 sussisterebbe, se dovesse essere interpretata in modo diverso da quello indicato dalla Corte stessa. Da parte dell'amministrazione statale la scelta di evitare o ritardare l'attuazione delle sentenze di codesta ecc.ma Corte costituzionale sarebbe comunque una scelta illegittima ed arbitraria, in violazione del generale principio di legalita' dell'azione amministrativa: ma tanto piu' e' illegittimo ed arbitrario il tentativo di imporre tale scelta alle Regioni, nell'esercizio delle proprie funzioni amministrative, in palese violazione dell'autonomia amministrativa regionale. Che il senso della nota sia di costringere o di condizionare le regioni - a prescindere dalla questione della sua idoneita' a raggiungere lo scopo - e' reso chiaro dall'invito rivolto ai commissari del Governo a "portare quanto sopra a conoscenza delle regioni interessate, al fine di evitare disomogenei comportamenti da parte delle Unita' sanitarie locali soprattutto con riferimento all'impegno di spesa". Infatti, non esiste alcun altro modo di evitare di "disomogenei comportamenti" che ritenere il contenuto della nota vincolante per tutte le regioni. Va da se' invece che i disomogenei comportamenti andavano evitati - d'altronde senza bisogno di alcuna nota ministeriale - nel senso opposto, cioe' nel senso di dare piena attuazione alla vigente normativa, secondo l'interpretazione fornitane da codesta Corte costituzionale. D'altronde, l'attuazione puntuale delle leggi costituisce per tutti gli amministratori pubblici un preciso dovere d'ufficio, e non si spiega davvero l'invito a trasgredire tale dovere. In questi termini, la nota impugnata costituisce un arbitrario tentativo di imporre alle regioni di esercitare in modo illegittimo la propria funzione amministrativa, sia in sede di indirizzo che in sede di controllo che in sede di gestione della spesa sanitaria, con evidente violazione dell'art. 118, nonche', per quest'ultimo profilo, dell'art. 119, primo comma, della Costituzione. Si aggiunga, ad abundantiam, che, in qualunque modo lo si consideri, l'atto in questione e' totalmente privo di base normativa, ed inoltre modo proviene da una autorita' - che non e' neppure il Ministro ma "il capo di gabinetto d'ordine del Ministro" - inidonea ad emanare atti di indirizzo nei confronti delle regioni. Sotto entrambi i profili, la giurisprudenza di codesta eccellentissima Corte costituzionale e' ferma e consolidata. Ci si puo' percio' limitare qui a ricordare le ancora recenti sentenze n. 517/1991 e nn. 422 e 453 del 1991. L'atto impugnato, in definitiva, risulta radicalmente arbitrario sia dal punto di vista del suo contenuto che dal punto di vista della sua forma e del suo fondamento.